top of page
Cerca
Immagine del redattoreSalvatore Mauro

Salvatore Mauro: «L’arte non è un mestiere ma un’esigenza spirituale»


La religione tra il sacro e il profano, l’arte come esigenza di espressione interiore contro una società che spesso ti logora e ti consuma lentamente e la disabilità che non è un limite, ma un’occasione per sviluppare il proprio ingegno grazie anche alla collaborazione di un team di professionisti. Non bastano poche righe per riassumere la figura di Salvatore Mauro, che si definisce artista «anomalo» ma che ai nostri occhi è eclettico e pieno di risorse.


Salvatore ha 41 anni, è nato ad Augusta e ha vissuto oltre 18 anni a Roma, torna a Siracusa quattro anni fa, ed oggi, a distanza di tempo, ricomincia a scommettere sul territorio con il suo spazio indipendente in via Alagona, nel cuore di Ortigia, nel fulcro dei quartieri ebraici e a due passi dal lungomare, dove cura quel luogo come fosse una delle sue opere d’arte.

«Lo spazio indipendente, che potremmo dire non è di certo la tipica galleria d’arte, si chiama AmMARE – racconta -. Un nome per ricordare il tipico detto siciliano “semu ammare”, e per sottolineare, allo stesso tempo, con un gioco di parole, l’amore per l’arte e ciò che di meraviglioso e creativo può produrre questa passione. La galleria nasce dalla mia volontà di poter frequentare un luogo di coworking aperto agli artisti, un posto dove il dialogo sia continuo e sempre fluido con tutti».


Quando chiediamo cosa ne pensa dell’essere artista e come vive il suo rapporto con l’arte ci racconta che «secondo Warhol puoi avere 15 minuti di notorietà, secondo Beuys, invece, la rivoluzione dell’uomo consiste nel fatto che tutti possiamo essere degli artisti. Questo fa riflettere – prosegue -, in ognuno di noi c’è il genius, come credevano i greci, ma sta a noi saperlo coltivare combattendo la società che continuamente reprime l’arte, la cultura, la poesia e la letteratura. L’essere artista non è un mestiere, ma lo diventa per esigenza, allo stesso tempo si tratta di un’esigenza spirituale; un qualcosa che tu fai per essere vivo in una società che ti consuma e ti logora. Anche nel caso di certe patologie l’arte ha degli effetti benefici sulla mente e l’interiorità, questo probabilmente vuol dire che dentro di noi c’è quel qualcosa che ci avvicina a questa dimensione».


In questi giorni Salvatore è impegnato nella realizzazione della mostra Revolution, che sarà inaugurata sabato 13 alle ore 19 in occasione della Giornata del Contemporaneo. «Siamo entrati in contatto con l’iniziativa che si svolge a livello nazionale. Un evento organizzato dall’associazione dei musei civici, Amaci – continua Salvatore Mauro-. È interessante sapere che questa associazione nasce proprio a Siracusa da un’idea di Salvatore Lacagnina che fino al 2008 è stato direttore della galleria civica d’arte contemporanea Montevergini. Insieme al museo Madre di Napoli, la Gamec di Bergamo e il museo di Rivoli, per citarne solo alcuni, hanno creato un sistema che permettesse un dialogo in divenire nel campo dell’arte contemporanea. Ad aderire al progetto, inoltre, sono invitati anche gli spazi privati così come gli eventi e le manifestazioni orientate alla promozione dell’arte contemporanea. E così abbiamo deciso di partecipare. Poi, una volta affiliata al circuito, l’iniziativa è menzionata in una mappa pubblicata sul sito della Giornata del Contemporaneo. Per l’occasione ho deciso di inaugurare nel mio spazio indipendente una nuova esposizione che mi permettesse di introdurre anche un Temporary shop. L’obiettivo è far conoscere gli artisti del territorio rendendo l’arte molto più accessibile. Al termine del percorso espositivo, nell’ultima sala, ci saranno opere più piccole in mostra solo per brevi periodi che garantiscono sia al turista che all’amatore che al piccolo collezionista di passaggio, di entrare in contatto con gli artisti locali e con alcuni artisti che provengono da fuori con i quali collaboriamo».


Nella galleria AmMARE fino a martedì 13 novembre sarà possibile ammirare i lavori di Emanuele Vittoriso, Walter Silvestrini, Giuseppe Piccione, Francesca Mirabile, Saverio Magistri, Anna Milano Carè, Francesco Lopes, Stefania Pennacchio e Danilo Torre. Si tratta dell’inizio di un percorso che vuole sviluppare un format sempre più commerciale senza che questo implichi svalutare l’arte. Salvatore ci spiega che «sono state realizzate anche le “magliette d’autore”. L’artista, oltre ad esporre la sua opera, potrà trasformarla in una maglietta con tirature molto limitate; vogliamo offrire a chi è appassionato la possibilità di acquistare un’opera d’arte non investendo milioni di euro ma con cifre più contenute».


Ma quest’evento non è il primo che ha preso vita nello spazio AmMARE. L’ultima iniziativa realizzata dall’artista è stata Giardino Globale che secondo le percezioni di Salvatore «ha avuto un buon riscontro nonostante le difficoltà che ci sono state con la comunità siracusana, non sempre sensibile sull’argomento. Un evento al quale continuiamo a lavorare in vista anche dell’edizione dell’anno prossimo». Ma la storia di Salvatore artista è controversa, e arriva a Siracusa solo in una fase più matura. «Mi definisco un’artista anomalo perchè sono anche un curatore, strada che ho intrapreso a 22 anni. Sono passati quasi 21 anni da quel giorno – racconta-. In quegli anni questa scelta era molto criticata perchè si esigeva, secondo degli standard molto rigidi tipici del mondo dell’arte, una scelta. L’aut aut prevedeva una delle due strade tra artista e curatore che non le contemplava entrambe. La storia dell’arte però ci ha insegnato che non è così: non a caso negli anni del Dadaismo, da Marcel Duchamp a Max Ernst, erano molti gli artisti curatori che a volte si cimentavano nell’organizzazione di eventi. Io mi colloco in questa tipologia di artisti che riescono a pensare non solo la propria opera, ma anche all’allestimento. Sicuramente il mio percorso affonda le sue radici negli studi accademici: mi sono laureato in sociologia a Roma con una tesi sull’antropologia culturale ed un particolare focus sull’arte contemporanea. Da quel momento in poi ho esposto in molti musei italiani avendo anche la fortuna di essere avvicinato da curatori e critici che a quei tempi erano in erba ed oggi sono persone di un certo rilievo, rinomate nel settore. È stata proprio Roma la città in cui ho mosso i primi passi in qualità d’artista, dove poi ho vissuto per 18 anni. Inizialmente mi sono avvicinato alla pittura applicata alle installazione che mi ha permesso di realizzare anche numerose scenografie e di instaurare una collaborazione con il teatro Vascello, che a quei tempi era sotto la direzione artistica di Manuela Kustermann e Giancarlo Nanni, dai quali sono stato anche scelto per recitare in uno spettacolo teatrale. La recitazione si è rivelata un linguaggio artistico nel quale, però, non mi sono identificato e dal quale mi sentivo anzi soffocare. Dalla pittura mi sono spinto sempre più verso linguaggi contemporanei iniziando a lavorare con il collage, le installazioni ed esplorando la performance, il suono e la fotografia digitale. Tra le opere più particolari che ho realizzato c’è sicuramente il light box; un contenitore di luce, acqua, suono e fotografia immersa nell’acqua e che oggi espongo nello spazio AmMARE. Inizialmente questi lavori, molto concettuali, non sono stati capiti ed apprezzati, ma negli ultimi anni, dopo aver vinto nel 2014 il premio Terna, queste opere sono state rivalutate».


Un mondo dell’arte che non sempre ha ricompensato il lavoro di Salvatore ma dal quale, nonostante le tante difficoltà, l’artista ha deciso di non fuggire, ma probabilmente di sfidare e di mettere alla prova, anche attraverso temi spesso ritenuti delicati come quello della religione. «A Napoli ho realizzato un’installazione sulla Divina commedia, e sul girone del paradiso. In quell’occasione il compositore milanese Alessadro Linz ha remixato l’ave Maria cantata dalla Callas in un loop continuo che si interrompe e si riprende; un elogio alla religione ma allo stesso tempo un testo sacro composto da Schubert per un re. È così che ho avuto modo di analizzare il concetto della religione tra il sacro e il profano, riflettendo su dove l’uomo sceglie di stare tra il bene il male, la luce e l’oscurità. Per me quel brano cantato dalla Callas rappresentava proprio il libero arbitrio e la possibilità di scegliere tra il sacro e il profano, sempre non dimenticando l’amore. In quell’installazione c’è il rapporto conflittuale della Callas stessa con l’amore, ma anche la visione che ne ha avuto Dante con la sua Beatrice. C’è l’Ave Maria che suggella momenti come il matrimonio, sia celebrato in chiesa che in Comune».


Ripercorrendo le opere che Salvatore ha realizzato in oltre un ventennio di attività scopriamo che sono spesso installazioni molto voluminose e ci chiediamo come sia riuscito in quella che apparentemente potrebbe sembrare una vera impresa. «Oltre a concepire le mie opere ho sempre lavorato in equipe – prosegue -, con dei collaboratori qualificati, circa cinque o otto persone che negli anni, grazie anche alle loro diverse competenze specifiche, mi hanno permesso di realizzare ciò che spesso avevo solo immaginato o disegnato. Hanno collaborato con me anche degli artisti che lavoravano il ferro e dei compositori; questo processo dà vita ad un risultato molto eterogeneo del quale io però seguo tutte le tappe. Da quattro anni ad oggi, con il mio ritorno a Siracusa, sono stato costretto ad arrestare la mia produzione artistica proprio perchè riuscire ad unire competenze di alto livello in questo settore non è poi così semplice come può sembrare».


E proprio a Siracusa Salvatore Mauro, prima di dare vita al suo spazio indipendente, è tornato per creare una mostra articolata nei 800 metri quadri della galleria Montevergini con protagonista Santa Lucia. «Il mio ritorno a Siracusa è avvenuto dopo molti anni, sono cresciuto nella zona di via Malta che a quei tempi faceva parte di un quartiere ritenuto popolare. Essere ritornato per me è stato importante, ho trovato una città cambiata in meglio e credo che tutti coloro che hanno vissuto fuori, proprio come me, possano contribuire a creare cose interessanti. La molla che mi ha spinto a tornare è stata una mostra commissionatami dall’allora assessore alla cultura, Francesco Italia, che mi aveva chiesto di progettare un’installazione alla galleria Montevergini. Il tema principale era la luce, quell’anno patrimonio dell’Unesco. Ne ho così approfittato per unire una retrospettiva dei miei lavori con alcune opere inedite, ed è nata così, dopo un anno di lavoro, Viva Santa Lucia, la sua luce è nell’ombra. Una frase ambigua e che voleva essere anche un omaggio a Caravaggio, e per il quale sono stato anche criticato. Aver spogliato Santa Lucia di ogni iconografia per riportarla unicamente ad una luce e ad una scritta, non a tutti è piaciuto. Ma è così che ho voluto ricreare qualcosa di molto vicino a chi crede: per me è più importante credere, che l’immagine stessa. Il processo inverso rispetto a quello attuato da Caravaggio, ma al passo con una società che vive di immagine e della quale forse si dovrebbe spogliare, e che ritrova la luce proprio nell’ombra. Da questa mostra, poi, è nato un workshop di ceramica con un gruppo di non vedenti che hanno creato delle sculture che abbiamo esposto all’interno di un cubo, attraverso il quale l’opera si poteva solo toccare, proprio per come era stata realizzata. Abbiamo realizzato anche un catalogo e delle etichette in braille per poter mettere tutti a proprio agio. Un modo per contrastare anche quel mondo dell’arte duro, elitario, per pochi… una visione alla quale sono contrario».

Ed è proprio attraverso l’arte stessa che Salvatore vuole combattere le etichette che da sempre caratterizzano il mondo dell’arte, ma rimanendo sempre con i piedi per terra, consapevole che entare in quel mondo è molto complicato. «Essendo una persona con disabilità – conclude – non ho avuto mai problemi di etichette, ma di certo non ho avuto sconti. Per me c’è una difficoltà maggiore, perchè non possiedo forza fisica, ma questo non mi impedisce di realizzare le installazioni della grandezza che voglio. È la strategia che mi permette di creare quello che ho in mente ed è l’equipe, infine, che collabora allo step finale. Forse sono declassato per la quantità di opere che realizzo, ma posso dire che questo garantisce qualità e professionalità. Credo e so che sono tante le disabilità che possono e hanno accesso al mondo dell’arte, ognuno con la sua esperienza e la sua disabilità. Di certo si tratta di una realtà, quella dell’arte, che non ti guarda in faccia. Se in fila alle Poste è possibile che qualcuno ti faccia passare prima, in questo mondo nessuno ti dirà “prego, si accomodi”».




3 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


Post: Blog2_Post
bottom of page